In this project I wanted to look for a connection between myself and the nature.
I wanted to do it with tools as far away from technology as possible. So I built myself a Pinhole. The primordial camera: without lenses, with nothing inside, just a box and a small hole. a direct line between the light on me and the sensitive paper with a very low sensibility. Then, starting from my home, I went around the woods near my heart to listen and took photos to the nature, often with myself in a composition so approximate, cause the Pinhole has no viewfinder.
Very long exposure times in which my body had to remain still for 10, 20 minutes. At that time I was looking for a connection between myself and nature itself by listening to the wind, the rustle of leaves and the animals and insects that surrounded me and touched me. An inner relationship reproduced in images where I still feel the sensations of those moments. Then return to the city where I usually live up to my home to complete my awareness of the importance of this union between us and nature, even and especially if we live in a big city.
It is a metaphorical work that represents ” the last garden”, that last chance to to avoid the risk of never going back if we don’t try to find a honest connection between us and nature again.
In questo progetto ho voluto cercare una connessione tra me e la natura.
Volevo farlo con strumenti il più lontano possibile dalla tecnologia. Così mi sono costruito un Pinhole. La fotocamera primordiale: senza obiettivi, con niente dentro, solo una scatola e un piccolo foro. Una linea diretta tra la luce su di me e la carta sensibile con una sensibilità molto bassa. Poi sono andato in giro per i boschi delle montagne abruzzesi, dove vado spesso, per ascoltare e fotografare la natura, spesso con me stesso in una composizione così approssimativa, perché il Pinhole non ha il mirino.
Tempi di esposizione lunghissimi in cui il mio corpo doveva rimanere fermo per 10, 20 minuti. In quel periodo cercavo una connessione tra me e la natura stessa ascoltando il vento, il fruscio delle foglie e gli animali e gli insetti che mi circondavano e mi toccavano. Un rapporto interiore riprodotto in immagini dove sento ancora le sensazioni di quei momenti. Ritorno poi nella città dove abito abitualmente fino a casa mia per completare la mia consapevolezza dell’importanza di questo connubio tra noi e la natura, anche e soprattutto se abitiamo in una grande città.
È un’opera metaforica che rappresenta “l’ultimo giardino”, quell’ultima possibilità per evitare il rischio di non tornare più indietro se non si cerca di ritrovare un legame onesto tra noi e la natura.